Royalties e fiscalità

31/12/2012

Tassazione della Produzione di gas e petrolio in Italia: Un confronto

(Dallo Studio di Nomisma Energia, 2012)

Con il termine royalties si indica il pagamento di un compenso con lo scopo di poter sfruttare un dato bene ai fini commerciali; sono quindi adottate per la remunerazione di diritti ceduti a terzi. In campo industriale, con riferimento alle attività di ricerca e coltivazione di idrocarburi, esse sono applicate al valore della produzione e fanno parte del più generale sistema di prelievo statale. In Italia il sistema di prelievo fiscale sull’attività di esplorazione e produzione di idrocarburi combina royalties, canoni d’esplorazione e produzione, tassazione specifica e imposte sul reddito della società. Per tale ragione il semplice paragone con le royalties di altri Paesi deve essere compiuto considerando tutta la tassazione nel suo complesso.
Il sistema fiscale italiano delle attività di ricerca e coltivazione degli idrocarburi tiene conto dei seguenti fattori:

a) disponibilità di riserve di gas e petrolio (produzione di 11,6 milioni tonnellate equivalenti petrolio (mln.tep), dato 2010);
b) forte vocazione di paese importatore: nel 2010 sono stati importati 128 mln.tep su un totale di consumi di 140 mln.tep, pari a circa il 91%

In Italia la royalty su terra è attualmente del 10% (a seguito dell’incremento del 3% introdotto nel 2009), mentre su mare è del 7% per il gas e del 4% per il petrolio, ed è applicata sul valore di vendita delle quantità prodotte. Per renderla confrontabile alle altre forme di tassazione sugli utili, occorre formulare ipotesi di costi che portano a elaborare un caso definito “situazione ideale” in Italia dove una royalty del 10% sui ricavi è equivalente ad una tassa sugli utili del 22% (vedi Figura “Tassazione sugli utili delle attività petrolifere in Italia (% dell’utile al netto delle tasse). Per stabilire il prelievo fiscale totale sulle attività di estrazione e produzione di idrocarburi, alla royalty va aggiunta la tassazione sui redditi delle società, IRES, con aliquota al 27,5%, l’imposta regionale sulle attività produttive, IRAP, al 3,9%, e la Robin tax, l’addizionale IRES introdotta nel 2008, aumentata nel 2009 e soprattutto nell’agosto 2011, al 10,5%1; complessivamente la tassazione dell’Italia sulle attività petrolifere è in media pari al 63,9% (figura seguente). Inoltre, tenendo conto dell’addizionale IRES del 4% introdotta con la l. 7/2009, il prelievo complessivo può salire fino al 68%.

Rispetto agli altri Paesi con cui il confronto è possibile, sostanzialmente solo i membri OCSE, il livello di tassazione italiano dell’ordine del 63,9% è relativamente alto, in particolare se si considera che la produzione nazionale è in calo a fronte di riserve che possono svolgere ancora un ruolo strategico. Paragoni con i sistemi dei Paesi produttori, in particolare dell’area OPEC, non sono, infatti, possibili poiché questi presentano regimi contrattuali nettamente diversi da quello concessorio tipico delle nazioni non OPEC.

I Paesi europei confrontati con l’Italia sono Danimarca, Francia, Irlanda, Norvegia e UK, caratterizzati, però, da ampie differenze circa gli strumenti di prelievo fiscale, i livelli di produzione di idrocarburi e la reddittività degli investimenti. Dal raffronto emerge con chiarezza che gli Stati con maggiore prelievo fiscale sono in genere quelli con più alta produzione, dove le imprese riescono ad ottenere alta redditività e a garantire un alto flusso di investimenti ed occupazione nel tempo. In Italia, al contrario, la produzione è ridotta, la redditività contenuta con investimenti rallentati, ma la pressione fiscale è relativamente alta. Tra i Paesi europei con alta produzione, alta redditività ed alta tassazione troviamo, Norvegia e UK, con prelievi fiscali in media, rispettivamente, del 78% e tra il 68 e l’82%. Tra gli Stati con bassa produzione ma alta redditività degli investimenti troviamo l’Irlanda, il cui basso prelievo, in media tra il 25 e il 45%, è volto a incentivare la produzione, attualmente sotto il mln.tep.

La Francia è invece l’unico dei Paesi analizzati con bassa produzione, redditività media, e basso prelievo fiscale, in media tra il 37 ed il 50%, anche in questo caso diretto a favorire l’aumento della produzione. Infine, ridotta produzione, bassa redditività ma alta pressione fiscale sono riscontrabili in Danimarca e Italia, i cui prelievi sono in un range del 64-77,5% (Danimarca) e del 50-67,9% (Italia).

Nel definire la convenienza ad investire, per le imprese, oltre alla pressione fiscale, altrettanto importanti sono i tempi autorizzativi. In Italia questi arrivano ad essere di gran lunga superiori alla durata media del resto del mondo. Per ottenere un’autorizzazione per la fase esplorativa si attende, infatti, oltre il 70% in più rispetto alla media globale, ed il ritardo aumenta ulteriormente per la fase di coltivazione, dove un’autorizzazione può essere concessa in oltre 9 anni, contro una media di 4 all’estero. Ciò comporta maggiori costi ed incertezze che impediscono alle aziende di investire.Prendendo a riferimento un caso tipico di sviluppo di un giacimento in Italia nelle migliori condizioni ipotizzabili, definito “situazione ideale”, senza compensazioni e ritardi, e confrontandolo con le condizioni reali di un progetto in Italia, caso definito “situazione di fatto”, caratterizzato da lunghi tempi e da compensazioni alte, emerge che le entrate per lo Stato e i profitti per le imprese sono entrambi minori rispetto al caso “situazione ideale”. Le peculiarità del sistema italiano penalizzano, pertanto, sia lo Stato che l’operatore.

La seguente figura riporta il calcolo partendo da un giacimento tipico con prezzi del petrolio intorno ai 71 €/bbl, livello dei prezzi di agosto 2011 valido per un tipico greggio italiano.Si riporta come riferimento il caso della Norvegia, uno dei Paesi, in Europa, più importanti per produzione di gas e petrolio, con livelli superiori di oltre 20 volte a quelli dell’Italia. Grazie ad un sistema di abbattimento del reddito imponibile, attraverso la possibilità di totale recupero dei costi esplorativi e un aumento consentito dei costi di sviluppo del 30% (uplift), e, le imprese possono sopportare un prelievo fiscale sugli utili relativamente alto, peraltro in assenza di royalties, eliminate a metà degli anni ’80. Il rischio geologico è per buona parte trasferito allo Stato, mentre l’alto grado di certezza del sistema fiscale ed il favorevole contesto industriale fanno sì che la Norvegia sia il Paese in Europa dove le compagnie petrolifere preferiscono investire. Vale ricordare come la Norvegia, proprio grazie al petrolio e alla sua fiscalità, sia lo Stato, in base agli indicatori ONU, che ha il tasso di sviluppo umano più alto al mondo.


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