Imprese e lavoratori al centro della transizione

19/10/2020

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Tratto da RiEnergia n.180 dal titolo “Le risorse dell’Italia al servizio della transizione


In una recente tavola rotonda virtuale promossa da Assorisorse sulla rivista RiEnergia, i tre segretari dei principali sindacati (Filctem-Cgil, Femca Cisl e Uiltec Uil) hanno affrontato il tema dei lavoratori, del loro bagaglio umano e professionale di cui la transizione energetica dovrà sempre più tenere conto.

Partendo da un’analisi dettagliata del recente studio di Confindustria Energia — nel quale si prefigurano al 2030 investimenti in infrastrutture energetiche per ben 110 miliardi di euro, compreso quelli delle imprese di Assorisorse, — Paolo Pirani, segretario generale Uiltec-Uil, osserva che «si tratta di un’azione che non solo tiene conto di quanto previsto dal PNIEC e dal Green New Deal – con focus sull’efficienza energetica e sulla decarbonizzazione – ma che proietta il nostro Paese nel cuore del Mediterraneo, come hub strategico della transizione energetica e dell’economia sostenibile dell’Europa. Il rispetto dei criteri di economia circolare e la semplificazione dei processi autorizzativi saranno determinanti per rilanciare gli investimenti orientati alla crescita delle filiere innovative e alla riconversione, all’adattamento e alla trasformazione degli asset esistenti, proprio nel rispetto dei principi di sostenibilità ambientale e sociale. La mole di investimenti previsti potrebbe determinare entro il 2030 ben 160 miliardi di euro di valore aggiunto, con una crescita del PIL di almeno l’1% entro la fine del prossimo decennio. Anche l’occupazione potrebbe avere dei risvolti positivi, con in media circa 160mila occupati da qui al 2030».

«Il patrimonio umano, in particolare in questa fase di emergenza sanitaria, ha dimostrato di essere un valore aggiunto dimenticato, invisibile» ha aggiunto Marco Falcinelli (segretario generale Filctem-Cgil). «Nei differenti settori che compongono il comparto energia sono occupati circa 130mila addetti con compiti tra loro molto differenziati, ma con un tratto comune: l’alto livello di professionalità e di specializzazione. Operai, tecnici, ingegneri e ricercatori hanno contribuito fortemente allo sviluppo di un Paese privo di grandi risorse energetiche, facendolo diventare una delle maggiori potenze industriali del mondo, fornendo tutta l’energia di cui aveva bisogno per la propria crescita. Per evitare ricadute occupazionali occorre quindi guardare al re-impiego produttivo dei siti dismessi o in dismissione, così come è necessaria una progettualità che privilegi il riutilizzo in ambito energetico. Per questo è fondamentale monitorare gli effetti della transizione sull’occupazione, guidandola sul terreno della specializzazione e della formazione e riqualificando i profili, prevedendo con urgenza interventi specifici di tutela occupazionale».

Riqualificare, formare e aggiornare le figure professionali a qualsiasi livello sono azioni da inserire tra le priorità per Nora Garofalo (segretario generale Femca-Cisl): «Lo sviluppo di nuove competenze apre una serie di possibilità che vanno dall’empowerment dei lavoratori, alla nascita di nuovi profili e di nuovi target di mercato. Come Femca abbiamo sempre sostenuto il protagonismo dei lavoratori, la dignità delle persone, la centralità dell’essere umano nei luoghi di lavoro. Concetti che oggi vanno ancor più tutelati e rafforzati, in tutti i settori. In ambito energetico, il personale, qualificato e professionale, è impiegato all’interno degli impianti di raffinazione, nell’estrazione di gas e petrolio, nella distribuzione di gas, nella costruzione delle reti gas. Si tratta di lavoratori, è bene ricordarlo, che grazie al loro impegno sono in grado di garantire quotidianamente il funzionamento del sistema energetico nazionale, rendendolo attivo ed efficiente».

Alla luce dello scenario delineato, diventa fondamentale operare in maniera sinergica tra istituzioni, accademia, investitori, tessuto industriale e mondo del lavoro per condividere know-how e individuare nuovi modelli di sviluppo, di business e di formazione che favoriscano soluzioni ricche di ingegno e di innovazione. Dal canto loro, le imprese italiane rivestono un ruolo centrale nel panorama dell’attuale transizione energetica, che mette al centro il tema della decarbonizzazione, a livello globale, di tutte le attività economiche e industriali. Puntando su un nuovo mix energetico e su nuove modalità di utilizzo di risorse e materie prime, gli investimenti porteranno ricadute positive per lo sviluppo e per l’ambiente, con un significativo valore aggiunto per la società e il territorio.


foto sindacati. Imprese e lavoratori al centro della transizioneRisorse economiche e Recovery Fund
«Mai come ora – ha detto Paolo Pirani (Uiltec-Uil) – la nostra industria, soprattutto dal punto di vista della transizione energetica, necessita di risorse certe e investimenti mirati. I fondi comunitari che saranno disponibili con il Recovery Fund risultano fondamentali, così come lo sono quelli del MES (Meccanismo economico di stabilità) che il governo italiano dovrà decidersi a chiedere. Per indirizzare al meglio questi fondi, sarà indispensabile una vera e propria cabina di regia composta dai rappresentanti dell’esecutivo, delle Regioni, dei sindacati e delle imprese».

«Le risorse economiche – ha aggiunto Nora Garofalo della Femca-Cisl – rimangono certamente lo strumento essenziale per cavalcare la trasformazione epocale che stiamo vivendo ed è importante valorizzarle al meglio e non trasformarle in mera assistenza, finalizzata alla risoluzione delle urgenze. Sostenere la realizzazione di infrastrutture innovative e di nuove tecnologie è certamente una strategia vincente, ma è necessario che gli interventi siano progettati e programmati. Garantire percorsi di riconversione delle produzioni, che salvaguardino lavoratori e sistemi industriali, è la priorità. Gli obiettivi del PNIEC, la decarbonizzazione del settore energetico entro il 2050, la promozione delle rinnovabili e l’uso razionale ed equo delle risorse naturali mediante l’economia circolare sono i temi che dobbiamo affrontare con uno sguardo lungimirante».

Marco Falcinelli (Filctem-Cgil) ha ribadito come «gli attuali strumenti e le risorse messe a disposizione dall’Unione Europea sono un buon inizio. Dei 750 miliardi previsti, i 209 destinati all’Italia andrebbero destinati a politiche anticicliche in termini di investimenti e sviluppo, per ridurre al minimo il gap infrastrutturale, gli squilibri sociali e territoriali esistenti nel nostro Paese. È necessario un programma nazionale di sviluppo che guardi in particolare al Sud, il cui rilancio costituisce una grande opportunità per sostenere le filiere produttive strategiche attraverso nuovi investimenti, rafforzando infrastrutture per la mobilità e realizzando nuove reti telematiche».

Strategie di riconversione green

Assorisorse concorda sul fatto che sia necessario garantire al Paese, attraverso una fase transitoria che poggi sul ruolo del gas, i valori dell‘autonomia energetica, della sostenibilità ambientale e della competitività industriale. Dice Nora Garofalo (Femca-Cisl): «La giusta transizione deve essere una transizione accompagnata, in grado di tutelare persone e ambiente e che non rinneghi l’uso di soluzioni intermedie, tra l’altro disponibili e fruibili: solo così si può evitare che da grande opportunità diventi un grande danno!»

Anche Marco Falcinelli (Filctem-Cgil) sostiene che il gas naturale assicurerà la fase di transizione dall’energia fossile a quella rinnovabile, senza rischi per la continuità della fornitura per il settore manifatturiero. «La transizione in chiave green al 2050 – dice Falcinelli – e la contemporanea eliminazione del carbone al 2025 porterà il sistema industriale a trasformare radicalmente l’attuale modello produttivo. Siamo di fronte ad un cambio di modello di sviluppo che rispetto alle precedenti tre rivoluzioni industriali sarà molto più rapido e agirà in un arco temporale più breve. La questione fondamentale in campo energetico resta quella del completamento infrastrutturale (elettricità e gas) necessario per conseguire gli obiettivi di sviluppo delle rinnovabili, ma anche per rispettare i tempi di uscita dal carbone, garantendo la sicurezza della rete».

Approcci largamente condivisi

Argomenti confermati nel corso della recente Assemblea di Confindustria, introdotta da affermazioni forti del neopresidente Paolo Bonomi, che ha parlato di coraggio e scelte controvento: «Avere una visione di fondo significa valutare in concreto quali obiettivi e strumenti producono effetti su filiere decisive per la nostra industria e per chi vi lavora, prima di approvare qualsiasi misura sulla sostenibilità ambientale, quali la decarbonizzazione graduale, l’economia circolare, la chiusura del ciclo di trattamento dell’acqua, le nuove infrastrutture energetiche e il crescente utilizzo dell’idrogeno».

In quell’occasione, il Ministro dello Sviluppo Economico Stefano Patuanelli ha sottolineato che per supportare la spinta a un profondo cambiamento sul tema delle risorse al servizio della transizione, è necessario fare riferimento ai progetti da finanziare con i nuovi fondi Ue nell’ambito di tre macro-obiettivi: transizione digitale, transizione energetica e rafforzamento delle filiere produttive. Affermando che, in un momento difficile come questo, lo Stato deve restare a fianco delle imprese, ascoltando i tessuti produttivi e diventando un compagno di viaggio nel percorso verso la ripresa. «Vogliamo costruire un Paese – ha detto il ministro – che, attraverso il rilancio degli investimenti in ricerca e innovazione, riacquisti la necessaria forza competitiva. Un Paese capace di puntare concretamente sulle nuove competenze, sulla professionalità, sul merito per dare qualità e dignità al lavoro e attrarre nel nostro mondo produttivo i giovani con le loro idee. Per questo ritengo che il Recovery Fund non dovrà essere speso, ma investito per dare maggiori certezze a chi lavora in impresa. Garantendo che le misure fondamentali siano stabili nel tempo».

«Il Governo deve creare le condizioni affinché chi fa impresa si possa fidare di quello che facciamo. Allo stesso modo, chi prende le decisioni deve potersi fidare delle imprese». Nel delineare le nuove strategie di ripresa per l’economia del Paese, le parole del ministro Patuanelli – si inseriscono nel confronto sulle politiche industriali per superare l’impatto della crisi provocata dal Covid-19. Parlando di riqualificazione dei lavoratori, Patuanelli ha poi spiegato che «qualsiasi macchina, dopo l’acquisto, va fatta funzionare: dietro ogni macchina c’è sempre una persona e poi la ricerca e l’innovazione non esisterebbero senza l’intelligenza umana. È evidente dunque che le competenze digitali, di base o qualificate, rappresentano un presupposto fondamentale per sfruttare al meglio le potenzialità delle attuali tecnologie e di quelle future, che richiederanno sempre più specializzazione».

Sui temi legati alla sostenibilità ambientale, Patuanelli ha anche spiegato come la maggiore disponibilità di risorse ci offre oggi l’opportunità di elaborare soluzioni più sostenibili a fronte dell’innegabile cambiamento climatico e del grave inquinamento atmosferico. «Abbiamo obiettivi sfidanti in termini di decarbonizzazione, anche grazie al PNIEC – ha detto il ministro – Stiamo elaborando strategie di lungo periodo e piani esecutivi basati su ricerca, efficienza e sostegno alla transizione dal fossile all’energia pulita. Occorre una strategia diversificata a favore dell’efficienza energetica. Dobbiamo insistere sulle rinnovabili: investire su progetti sperimentali per ridurre le emissioni di carbonio in tutti i settori industriali, sia attraverso l’adozione di nuovi materiali e di nuovi processi produttivi, sia attraverso nuovi prodotti a basso impatto ambientale. Bisogna investire in nuove fonti di energia come l’idrogeno, soprattutto verde, su cui registriamo un ritardo rispetto ai nostri competitor europei».

In chiusura il presidente di Confindustria Paolo Bonomi ha sottolineato la necessità di progetti chiari per utilizzare i fondi del Recovery Fund e per attivare il MES. «Da troppi anni in Italia manca una visione. Una visione di fondo capace di unire ciò che il nostro Paese sa fare con l’impatto della modernità, l’evoluzione formidabile delle tecnologie, gli effetti che tutto ciò può produrre in una società italiana che, in 25 anni, ha perso reddito e ha aumentato il tasso di diseguaglianza. Al Governo chiediamo un nuovo accordo con le parti sociali, un grande Patto per l’Italia con una visione alta e lungimirante».