Le domande più frequenti sull’attività estrattiva, curiosità, approfondimenti, foto, video da consultare
I giacimenti di idrocarburi nel territorio nazionale sono parte del patrimonio indisponibile dello Stato, in quanto contengono minerali strategici. Lo Stato concede alle compagnie petrolifere il permesso di coltivarli, nel rispetto delle regole per la tutela dell’ambiente e della sicurezza. La coltivazione di idrocarburi consiste nel ciclo di individuazione e raccolta degli idrocarburi, cioè la loro effettiva valorizzazione.
La Concessione di Coltivazione è la tipologia di contratto che regola il rapporto tra Stato e compagnia petrolifera. Gli idrocarburi prodotti restano di proprietà dello Stato e sono affidati alle compagnie per la loro produzione.
Il valore degli idrocarburi è ripartito tra Stato e compagnie. Le compagnie pagano allo Stato le royalties in proporzione alla produzione di idrocarburi e le tasse sui profitti generati dalla loro commercializzazione. Le compagnie commercializzano il prodotto e, al netto degli investimenti, delle royalties e delle tasse, ottengono un margine di guadagno da condividere con gli azionisti.
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L’esplorazione è finalizzata alla verifica dell’esistenza e della consistenza di potenziali giacimenti di olio e gas, emersa durante le indagini geofisiche del sottosuolo. L’esplorazione rappresenta un complesso iter che prevede l’individuazione delle zone più idonee alla perforazione di uno o più pozzi. Parte di questa fase è la perforazione di pozzi esplorativi per accertarsi dell’esistenza e della quantità degli idrocarburi presenti.
Se l’esito dell’esplorazione è negativo, il pozzo viene chiuso ermeticamente e si procede al ripristino ambientale del sito.
Se l’esito dell’esplorazione è positivo, si passa alla fase di sviluppo e produzione. Una volta perforati, i pozzi (produttivi) permangono fino al naturale esaurimento del giacimento grazie a costanti, adeguati e costosi interventi di manutenzione e di ulteriore sviluppo.
L’esaurimento del giacimento porta allo smantellamento degli impianti e al ripristino ambientale dell’area.
La fase di sviluppo e produzione di idrocarburi prevede la perforazione dei pozzi necessari alla produzione degli idrocarburi riscontrati in fase di esplorazione.
Il gas e l’olio prodotti vengono veicolati verso centri di raccolta tramite condotte di raccolta (flowlines), e ricevono un primo trattamento:
- La miscela di olio estratta viene separata tra i suoi componenti gassosi e liquidi, depurata dall’acqua e eventualmente desolforata.
- Il gas viene processato per separare il metano dagli altri idrocarburi presenti.
L’olio viene poi inviato alle raffinerie, tramite oleodotti o navi, treni e autocisterne. Il gas è distribuito ai bacini di utenza tramite metanodotti oppure stoccato in bombole per uso domestico o industriale.
In mare, la produzione di idrocarburi avviene tramite piattaforme offshore. Queste strutture hanno una grandezza variabile e possono essere fisse – fissate al terreno tramite una struttura in metallo – o galleggianti. Le piattaforme offshore galleggianti non sono direttamente fissate al fondale, ma ancorate tramite tiranti di acciaio.
Il personale impiegato sulle piattaforme dipende dall’estensione del giacimento e dalla grandezza della piattaforma ed è composto da diverse figure professionali quali ingegneri, tecnici e manutentori, medici, specialisti in materia di sicurezza e ambiente, cuochi e personale di servizio.
Gli idrocarburi prodotti in mare sono inviati ai centri di raccolta e trattamento a terra tramite condotte apposite, oppure stoccati su unità navali galleggianti (FPSO – Floating Production Storage and Offloading Unit).
I fanghi di perforazione sono prodotti specializzati che consentono di spingere verso l’alto i detriti man mano che si procede con la perforazione del pozzo, evitandone l’occlusione e un innalzamento delle temperature al suo interno dovuto all’attrito dei detriti stessi.
Sono solitamente composti da materiali naturali e additivi – a base di bentonite, mica, barite, ecc. – che consentono l’adeguata lubrificazione e il raffreddamento della trivella di perforazione, nonchè la densità adatta a garantire la giusta pressione a fondo colonna, per evitare eventuali dispersioni di gas.
Viaggiano in circuiti chiusi (‘ciclo del fango’). Il fango che torna in superficie (tranne una piccola percentuale utilizzata per stabilizzare le pareti del foro) è setacciato e sistemato in apposite vasche per poter essere re-iniettato.
Dopo alcuni cicli, il fango non è più utilizzabile e viene smaltito in una discarica specializzata, dopo essere stato analizzato. L’analisi è necessaria per ‘caratterizzare’ il tipo di fango e individuare la procedura di smaltimento più idonea.
Prima dello smaltimento definitivo, il responsabile della società di smaltimento effettua due ulteriori controlli del carico di fango – uno chimico, l’altro burocratico – per assicurarsi che il carico ricevuto corrisponda a quanto dichiarato dall’operatore.
Prima della perforazione, tra la parte superficiale del terreno e la base dell’impianto viene posto uno strato di tessuto non tessuto (TNT – prodotto industriale simile al tessuto, ma ottenuto con un procedimento diverso dalla tessitura). Ad ulteriore protezione delle eventuali falde acquifere viene posto anche un impermeabilizzante HDPE (High-Density Polyethylene – polietilene ad alta densità usato in ampi fogli per ‘isolare’).
Le moderne tecniche di perforazione dei pozzi, allo scopo di lubrificare lo scalpello di perforazione, prevedono l’utilizzo di fanghi specifici. Il foro dei pozzi è poi rivestito con tubi di acciaio cementati risultando così impermeabile e isolato. Il posizionamento e la profondità del rivestimento vengono accuratamente definiti per garantire la massima sicurezza delle operazioni.
Una struttura in calcestruzzo, circondata da canali di drenaggio, è predisposta per l’installazione delle parti di impianto come area pompe e motori, vasche e circuito per i fanghi ecc. Anche le acque piovane sono convogliate in appositi bacini di raccolta per poi essere smaltite.
La prima fase dell’esplorazione si avvale di prospezioni geofisiche per identificare la struttura geologica del suolo e la presenza di eventuali giacimenti minerari. Tra le tecniche usate per la prospezione geofisica in mare vi è il metodo dell’airgun.
L’airgun/sismica a riflessione:
- è tra le tecniche geofisiche quella che consente di effettuare la più fedele ricostruzione delle porzioni sepolte della superficie terrestre e dell’assetto geologico e strutturale del sottosuolo.
- produce onde elastiche attraverso un meccanismo di rilascio di aria compressa. Ad oggi è la sorgente disponibile a più basso impatto ambientale.
- Non è usato solo nell’industria Oil&Gas, ma a livello internazionale da tutti gli enti ed organi di ricerca scientifica per lo studio e la ricostruzione della geologia del sottosuolo utile all’individuazione di strutture e lineamenti sismogenetici, e per la ricostruzione di altri elementi di rischio geologico.
Da alcuni decenni studi e ricerche approfondite (Norvegia, Australia, Regno Unito e Stati Uniti) hanno analizzato possibili effetti negativi dell’impiego dell’airgun sulla fauna marina. I risultati di tali studi non hanno portato a nessun divieto di utilizzo di questo tipo di tecnologia.
Il suono prodotto dall’airgun è comparabile in intensità ed ampiezza a molti suoni naturali dell’oceano per esempio il rumore del moto ondoso, di alcune specie marine ed il suono del traffico navale.
Per una mitigazione degli effetti potenziali sulla fauna marina, dal 2006 è operativo il progetto “The OGP Joint Industry Programme (JIP) E&P Sound & Marine Life”, con la partecipazione dell’associazione internazionale delle società contrattiste per servizi di attività geofisica e delle principali compagnie petrolifere internazionali.
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Quando il giacimento è in fase di esaurimento, lo Stato decide se vi è ancora convenienza economica nel continuare a coltivarlo oppure chiuderlo e procedere al ripristino ambientale dell’area interessata. In tal caso:
- I pozzi vengono chiusi e cementati.
- Vengono rimossi la massicciata (costruzione di pietrisco, sassi o altro materiale, che funge da base d’appoggio) costituente la postazione dell’impianto e Il TNT posto tra la ghiaia e il terreno
- Il materiale rimosso viene trasportato e smaltito in discariche specializzate, mentre l’area è riportata nelle condizioni precedenti i lavori.
Fonte: Pandosia
In Mare
- Durante le operazioni di esplorazione e produzione offshore ‘nulla viene scaricato a mare’ (Zero Discharge).
- I detriti di perforazione vengono raccolti e convogliati per lo smaltimento presso centri specializzati.
- I fanghi di perforazione viaggiano in ‘circuiti chiusi’ che ne garantiscono il riutilizzo, prima dello smaltimento definitivo a terra.
- I fori perforati sono intubati e cementati evitando qualsiasi contatto con l’esterno.
Inoltre le piattaforme:
- Sono oasi di ripopolamento ittico grazie all’effetto FAD – Fishing Attracting Devices, dovuto alle ‘cavità’ delle loro parti sommerse che garantiscono una buona circolazione d’acqua.
- Forniscono a molluschi e pesci una protezione contro i predatori naturali, garantendo un habitat differenziato alle diverse specie che possono prosperare lungo la colonna d’acqua senza disturbarsi reciprocamente.
- Impediscono la pesca a strascico.
Sulle Spiagge
- Il catrame che a volte si deposita sulle spiagge è spesso erroneamente attribuito all’attività delle piattaforme offshore. In realtà esso è dovuto al transito e alla pulitura illegale delle imbarcazioni di carattere commerciale, adibite al trasporto di merci e passeggeri. Fermando la produzione offshore si aggraverebbe il problema, poiché aumenterebbe il traffico delle navi necessarie per importare combustibili.
Si dice che gli idrocarburi italiani siano di pessima qualità. In realtà l’80% degli idrocarburi prodotti in Italia è gas naturale, risorsa di ottima qualità. Di buona qualità è anche l’olio prodotto dai nostri giacimenti, infatti l’80% è simile al Brent, leggero e con poco zolfo. Il resto è più pesante (più alto contenuto di zolfo), ma grazie a cicli di lavorazione tecnologicamente avanzati in raffineria, se ne aumenta il rendimento e il valore.
Bloccare la produzione di idrocarburi nazionali provocherebbe danni economici, sociali e ‘ambientali’. Infatti:
- Aumenterebbe il traffico di petroliere per importare la quantità di olio e gas in più necessaria a compensare la mancata produzione nazionale. Negli ultimi 30 anni, la produzione nazionale di idrocarburi ha evitato il transito di una superpetroliera al giorno nei nostri mari.
- S’innalzerebbe così il rischio di incidenti navali, nonché la quantità di catrame e residui sulle spiagge dovuta alle procedure – illegali e non controllate – di lavaggio delle cisterne.
- Considerando lo scenario attuale, le riserve italiane di gas e petrolio equivalgono a circa 50 anni di attività, quindi si rinuncerebbe a un potenziale di ricchezza ancora da produrre. Le riserve di idrocarburi sono un patrimonio del popolo italiano che lo Stato ha l’obbligo di valorizzare.
- Diminuirebbero gli importanti investimenti privati da parte di compagnie specializzate, con un impatto sull’occupazione e sullo sviluppo tecnologico del Paese, mentre aumenterebbe l’importazione degli idrocarburi necessari al nostro fabbisogno, da zone geopoliticamente a rischio.
Infine …
- Si tarperebbero le ali all’indotto petrolifero diretto italiano, le cui tante aziende sarebbero costrette a chiudere o a trasferirsi all’estero.
L’indotto petrolifero diretto italiano – composto da una vasta realtà d’industrie tecnologicamente avanzate che forniscono beni e servizi agli operatori petroliferi – è un’eccellenza mondiale per grado d’innovazione tecnologica.
Nella filiera dell’Oil&Gas italiana sono coinvolte più di 400 imprese con circa 100mila addetti impegnati in attività per l’Italia e per l’export. Una ricchezza di know-how e competenze che produce un fatturato annuo di circa 20 miliardi di Euro.
L’Oil&Gas italiano ha costituito la ‘palestra’ che ha sviluppato le competenze e le conoscenze di queste imprese. Un blocco delle attività in Italia farebbe venir meno questo humus fondamentale per un’industria di successo.
Il Regio Decreto n.1443 del 1927 (aggiornato e coordinato al D. Lgs. 4 agosto 1999, n.213) differenzia cave e miniere in base al tipo di minerale estratto. La normativa italiana classifica i minerali in due categorie: strategici (prima categoria) e meno strategici (seconda categoria).
I siti presso i quali si estraggono minerali di prima categoria (minerali energetici, minerali metalliferi e alcuni minerali industriali) sono identificati come miniere, che possono essere sotterranee o a cielo aperto, mentre i siti estrattivi dedicati ai minerali di seconda categoria (torbe, materiali per l’edilizia, pietre molari, quarzo, sabbie silicee) sono cave.
La maggior parte dei minerali per l’industria (feldspato, caolino, bentonite, salgemma, talco, argilla) fa parte dei minerali di prima categoria. Solo il calcare, la perlite e le sabbie ricavate dalla lavorazione del quarzo (cd. sabbie silicee) sono nella seconda categoria.
Fino al 2001 la competenza legislativa su cave e miniere era dello Stato che conferiva funzioni e compiti amministrativi sulla materia alle Regioni e agli Enti locali.
La riforma del Titolo V della Costituzione del 2001, ha spostato sia le cave che le miniere nelle materie disciplinate dalle Regioni le quali svolgono anche funzioni di Polizia Mineraria.
I minerali per l’industria sono impiegati nella maggior parte dei materiali che compongono la nostra quotidianità. Ogni cittadino europeo utilizza mediamente 460 tonnellate di minerali industriali nel corso della sua vita. Alcuni degli oggetti che vedono l’impiego di minerali per l’industria: